La mia domanda di trasferimento ad una scuola carceraria era passata nel dimenticatoio, ci provavo ormai da cinque anni, ed avevo perso ogni speranza. Una mattina mi arriva un messaggio sul cellulare: “Congratulazioni, ce l’hai fatta!” Decido immediatamente di entrare nel sito del Ministero e controllare se era tutto vero. Sì, avevano accolto la mia domanda di mobilità. Inizia così un nuovo percorso professionale per Sabrina Donò, che l’ha portata ad insegnare dieci anni in una casa circondariale del Veneto. Ma Scuola senza sbarre è soprattutto la storia di tanti protagonisti che attraverso le loro storie, i loro sogni cercano di trovare ragioni forti su cui fondare e alimentare le proprie speranze per una vita futura diversa, migliore. Ho condiviso con i detenuti spazi e varie situazioni per dieci anni e posso assicurare che l’isolamento sociale non determina solo una limitazione di movimento della persona, ma prima o poi incide anche nell’anima e sull’identità di ogni soggetto. Si può dire che il carcere spesso rischia di condurre alla degenerazione graduale della mente. Per questo gli spazi di mantenimento, crescita ed espressione delle relazioni sociali e degli affetti sono un fattore necessario e potente per il mantenimento e il miglioramento dell’identità di ciascuno. Gli spazi per le attività culturali e per l’affettività dovrebbero essere intesi, rispettati e garantiti come diritti imprescindibili della persona, anche di quella reclusa. L’articolo 27 della Costituzione recita: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Anche per questo ho lavorato e mi sono impegnata in dieci anni della mia vita.